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Ecco le aziende americane che invitano Biden alla moderazione sulla Russia

Diverse aziende americane, specialmente quelle attive nel settore energetico, non vogliono sanzioni troppo pesanti contro la Russia, nel caso in cui dovesse attaccare l’Ucraina. Temono danni economici e un ripresentarsi delle condizioni vissute nel 2014. Ecco perché

Gli Stati Uniti promettono di rispondere duramente a un eventuale attacco della Russia all’Ucraina, attraverso l’imposizione di pesanti sanzioni economiche e finanziarie. Tuttavia, un gruppo che riunisce diverse grandi aziende americane che fanno affari in Russia, come la compagnia petrolifera Chevron o il gruppo industriale General Electric, sta già facendo pressioni sull’amministrazione di Joe Biden per convincerla a esentare alcuni prodotti dalle ritorsioni commerciali. Parallelamente, alcune importanti società energetiche stanno cercando di convincere il Congresso a limitare la portata e la durata delle sanzioni.

DEFINIRE I “GIUSTI DETTAGLI” DELLE SANZIONI

Jake Colvin, presidente del National Foreign Trade Council, un gruppo commerciale che si prefigge di promuovere le esportazioni americane, ha detto a Reuters che la Casa Bianca e il Congresso devono definire i “giusti dettagli” in caso di sanzioni alla Russia, prendendo in considerazione dei periodi di esenzione che consentono alle aziende di rispettare gli obblighi contrattuali ai quali sono vincolate.

COSA VUOLE LA LOBBY DEI PETROLIERI

Un funzionario del Congresso ha invece detto all’agenzia che le società energetiche vogliono sanzioni meno dure verso Mosca per evitare di vedersi confiscate le loro proprietà nel paese.

L’American Petroleum Institute, la lobby principali dei produttori americani di idrocarburi, ha discusso con i congressisti delle sanzioni alla Russia, e detto che queste ultime dovrebbero essere “il più possibile mirate per limitare il possibile danno alla competitività delle compagnie statunitensi”.

GRADUALITÀ O IMMEDIATEZZA?

William Reinsch, un ex-funzionario del dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, ha detto che solitamente le sanzioni sulle esportazioni vengono introdotte in maniera graduale, per dare tempo alle aziende di adattarsi. Tuttavia, nel caso in cui la Russia dovesse invadere l’Ucraina, verrebbero introdotte immediatamente, andando così a complicare l’adattamento al nuovo regime commerciale.

L’ESEMPIO DEL POST-CRIMEA

Le compagnie petrolifere, in particolare, temono un ripresentarsi delle condizioni già sperimentate a seguito delle sanzioni imposte da Washington contro Mosca dopo l’invasione della Crimea, territorio ucraino, nel 2014. Dicono che, per via di quelle misure, le operazioni di trivellazione in Russia sono risultate più costose per anni. ExxonMobil, per esempio, rinunciò alle attività nell’Artico russo mettendo fine alla collaborazione con Rosneft (la società petrolifera statale russa), con la quale nel 2011 aveva firmato un accordo da 3,2 miliardi di dollari.

La linea di Exxon è che le sanzioni abbiano finito per penalizzare le aziende americane nei confronti di quelle straniere attive in Russia, perché provocarono un rallentamento dei lavori sui giacimenti nel mare di Kara, sopra il circolo polare artico. Le sanzioni del 2014 – ricostruisce Reuters – colpirono infatti i progetti oil & gas russi nell’Artico, nei depositi shale in Siberia e nelle acque profonde. Le nuove ed eventuali sanzioni potrebbero essere ancora più estese.

QUANTO VALE IL COMMERCIO STATI UNITI-RUSSI

Nel 2019, stando ai dati americani, il commercio di beni e servizi tra gli Stati Uniti e la Russia ammontava a 34,9 miliardi di dollari. Per fare un paragone, nello stesso anno le sole esportazioni americane di beni e servizi verso la Cina superavano i 160 miliardi di dollari.

Da segnalare che la Russia è la seconda fornitrice di prodotti petroliferi raffinati agli Stati Uniti.

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