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Giovanni Maria Flick: «Ombre di incostituzionalità nel Dl sull’ergastolo»

INTERVISTA AL PRESIDENTE EMERITO DELLA CONSULTA. «Problematica la pretesa che il detenuto provi che in futuro non riallaccerà legami con la mafia: pare fatta apposta per rendere inaccessibile la liberazione. E con rinvio del decreto penale rischiamo di veder compromesse, in fase di conversione, le conquiste della riforma»

«Ci sono tre diversi problemi, e piuttosto seri, nel decreto su ergastolo e processo penale appena varato dal governo. Trovo problematico che una norma subordini la concessione di un beneficio alla capacità del detenuto di fornire prove su eventi futuri, per quanto si tratti di un ambito delicatissimo qual è il contrasto alla criminalità organizzata. Trovo altrettanto problematico che una norma di legge si riferisca a un elemento del tutto vago qual è il contesto. E ancora, sconteremo anche la scelta di rinviare l’entrata in vigore dell’intero decreto penale, perché rischiamo di veder compromesse alcune conquiste di quel provvedimento». Il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick risponde al Dubbio pochi minuti dopo il vario in Consiglio dei ministri del provvedimento che inaugura una nuova stagione della politica giudiziaria. Un decreto legge su ergastolo ostativo e riforma penale, dall’impatto pesante. «E in alcune parti, le norme sull’ergastolo potrebbero essere di nuovo impugnate, da un giudice, davanti alla Consulta per sospetta incostituzionalità».

E insomma, il legislatore non ha partorito una legge sull’ergastolo in un anno e mezzo, ora emana un decreto urgente pieno di ombre.

Nell’ordinanza che ormai tutti conosciamo, la numero 97 del 2021, la Corte costituzionale ha affidato al Parlamento il compito di modificare le norme sull’ergastolo in modo eliminare il meccanismo per cui la mancata collaborazione è motivo di una presunzione negativa assoluta sulla persistente pericolosità del recluso. Tale modifica, ha detto la Corte, va introdotta in modo da non lasciare vuoti di tutela, rispetto alle esigenze di sicurezza sociale. Bene, ma già in quell’ordinanza la Corte ha sostenuto la necessità di dover escludere, per l’ergastolano ostativo, “sia l’attualità di suoi collegamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino”. Ora il decreto stabilisce che dev’essere il detenuto stesso a fornire elementi che escludano quei rischi. Si è di fronte, nella sostanza, alla pretesa di una probatio diabolica. Ora, è vero che è il decreto a prevederla, ma è vero pure che la Corte ne aveva creato i presupposti.

Ed è legittimo che tutte quelle prove incombano sull’ergastolano anziché sull’autorità giudiziaria? 

Non è illegittimo dal momento che è il detenuto a proporre un’istanza in cui sostiene di essere ravveduto ed è plausibile che lo Stato gli chieda di dimostrare quel ravvedimento. Ma la ragionevolezza vacilla nel momento in cui il ricorrente deve esercitarsi in una prognosi sul futuro, deve cioè dare prova negativa di qualcosa che non è attuale. Una previsione che rischia di rendere di fatto inaccessibile, per gli ergastolani ostativi, il beneficio della liberazione condizionale.

E poi, l’ergastolano deve allegare anche elementi tali da escludere legami con il “contesto” in cui il reato è stato commesso. 

E cosa vuol dire contesto? Il riferimento è geografico, ambientale, sociale? Già questa genericità potrebbe consentire a un giudice di rimettere la nuova norma al vaglio della Consulta. Forse dovremo chiedere consulenza all’Accademia della Crusca, per decifrare il senso della norma. E poi, riguardo alla costituzionalità del decreto, nella parte in cui si occupa di ergastolo, c’è un nodo che mi pare preceda gli altri.

Sarebbe? 

Esiste davvero la necessità e l’urgenza di intervenire per decreto su una legge che la Corte costituzionale chiede di modificare da un anno e mezzo? Qui è il presidente della Repubblica a compiere una valutazione.

Il prossimo 8 novembre la Consulta si riunisce per verificare se il legislatore ha “risposto all’appello” sull’ergastolo. In quella sede, con una nuova ordinanza, potrebbe esprimersi anche sulle scelte di merito compiute nel decreto? 

No, una cosa del genere non è mai avvenuta. Certamente la Corte potrà sottoporre le nuove norme al giudice rimettente, nello specifico la Cassazione, e chiedergli di verificare se ritiene che il provvedimento appena emanato risolva la questione di legittimità sollevata a suo tempo.

E la Corte può rimettere il decreto al vaglio del giudice nonostante si tratti di norme suscettibili di modifica in fase di conversione?

Sì, un decreto legge ha l’efficacia di una legge. Quindi certo che la Consulta può trasmetterla al giudice rimettente, anche se non sappiamo se e in che forma il decreto sarà convertito. Ma guardi che il problema principale è all’origine del percorso.

Cioè nella decisione di non rendere subito operativa la pronuncia sull’ergastolo ostativo? 

Sì: io rispetto la scelta compiuta con l’ordinanza del 2021, ma ritengo che la Corte dovrebbe sempre dichiarare l’incostituzionalità di una norma, se la ravvisa, in modo che la sentenza sia subito efficace.

E il tutto in aggiunta al paradosso delle prove sugli eventi futuri. 

Un conto è se un ergastolano di mafia fornisce o lascia intravedere elementi tali da far ipotizzare plausibilmente la volontà di ripristinare i legami con la criminalità, altro è subordinare la concessione del beneficio a elementi che consentano una prognosi. La Corte ha ritenuto che sia necessario escludere rischi di un futuro ripristino dei rapporti criminali, e il decreto scarica sul detenuto quella prova negativa. Mi pare l’incrocio più problematico, anche in termini di legittimità.

Nel decreto appena emanato si congela la riforma Cartabia. Col rischio che in fase di conversione venga stravolta.

Partiamo intanto da un altro rischio, anzi da una certezza. Da un lato, è vero che Cartabia ha il notevole merito di aver affrancato le riforme della giustizia da una sorta di monopolio della magistratura. Si è dimostrato che il Parlamento può provvedere senza la necessità di un tutore esterno. D’altra parte la fretta iniettata dagli obblighi del Pnrr ha favorito evidentemente delle lacune di coordinamento, e soprattutto avvalora la tesi dei procuratori generali, secondo i quali mancano le strutture in grado di far funzionare le nuove norme. Vedrete che tornerà il refrain, che parte della magistratura dirà: ecco la prova, senza di noi, le leggi noi si possono fare.

Ma appunto, in Parlamento ora quelle leggi possono peggiorare, considerato il tipo di maggioranza che si è formata? C’è questo rischio, in particolare, per le norme sulle sanzioni, che introducevano una prospettiva meno carcerocentrica? 

Nella maggioranza c’è chi dice che la pena deve innanzitutto rispettare la dignità della persona, tendere alla rieducazione ed essere in ogni caso contraria a trattamenti inumani. Nella stessa maggioranza c’è però chi si preoccupa, invece, della certezza, intesa come durezza, della pena, e che addirittura progetta di intervenire sulla Costituzione, per far prevalere la logica retributiva sul fine rieducativo e risocializzante della sanzione. Da questo stesso fronte viene sostenuto che le misure alternative costituiscono una pena indebitamente attenuata concessa a persone che non lo meritano. La situazione è questa e può emergere in fase di conversione, con alcune conquiste che finirebbero compromesse.

Insomma, alla fine il ministro Nordio è in minoranza?

Io mi esprimo sulla qualità e coerenza delle norme, non faccio analisi politiche. Certo è che la politica ancora una volta si trova di fronte alle conseguenze dei propri errori: ha pensato, per anni, che gli aspetti tecnici delle riforme andassero subappaltati, per così dire, alla lite fra magistrati e avvocati. Ha rinunciato a occuparsi davvero dei problemi della giustizia, ed è stato così per anni. Non vorrei si andasse verso un’ulteriore abdicazione, quella che ci porterebbe alla giustizia robotica. I problemi vanno affrontati per tempo. La politica quasi mai lo fa. E arriva a proporre per decreto legge, cioè con la forma dell’urgenza, norme come quelle sull’ergastolo, per le quali ha avuto un anno e mezzo di tempo a disposizione.

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