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Ora la politica deve ascoltare la voce dell’avvocatura italiana

Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: quello che l’avvocatura italiana ha organizzato non sarà un congresso qualsiasi. E non può esserlo perché sono giorni febbrili per la giustizia. Forse era dai tempi della riforma Vassalli, e parliamo del 1988, che il mondo della giurisdizione, e più in generale il sistema dei diritti, non vivevano questo protagonismo, questo fermento riformistico. Ma prima di prendere decisioni definitive e “irrevocabili”, la politica e le istituzioni devono ascoltare la voce dell’avvocatura italiana.

Sono troppi e troppo importanti i temi sul tavolo per girarsi dall’altra parte. E del resto, in questi anni – e lasciatecelo dire: forse il merito è anche di questo giornale – ecco, in questi anni gli avvocati italiani hanno trovato un nuovo protagonismo e la loro voce, le loro istanze sono arrivate ai tavoli della politica. E in un clima di grande crisi della magistratura – mai come in questo momento le toghe hanno perso la fiducia dei cittadini – è un bene che l’avvocatura, l’altro protagonista della giurisdizione, acquisti peso, visibilità, credibilità. Ma non è il caso di gioire: il collasso, speriamo momentaneo, dell’interlocutore storico dell’avvocatura costringe quest’ultima a un di più di responsabilità e alla capacità di immaginare il proprio ruolo nel lungo periodo.

Qui non si tratta solo di rivendicare le istanze di centinaia di migliaia di avvocati, ma di comprendere che l’avvocatura in questo momento può diventare guida stessa della giustizia del nuovo millennio. Insomma, è un’occasione unica per l’avvocatura che da tempo si sta sforzando di “uscire dalle proprie stanze” e di rappresentare tutte le diverse gradazioni della professione. Per questo l’articolato mondo degli avvocati, la voce polifonica con la quale esso si presenta, dovrà avere la capacità di fare sintesi, di far sistema sforzandosi il più possibile di intonare un’unica voce accordata sui grandi temi che abbiamo di fronte.

Ma cosa “vogliono” gli avvocati? Chiedono una cosa semplice e chiara, del tutto priva di qualsiasi forma di corporativismo o di interesse di bottega. E la richiesta è la seguente: le riforme che in questi mesi stanno dilaniando la politica italiana – spesso per motivi non propriamente altissimi – devono mettere al centro la tutela dei diritti dei cittadini. È da qui che si deve partire: dal rispetto sacrale dei diritti e delle garanzie espressi nella nostra Carta costituzionale. E in questo senso la presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi, è stata ancora più chiara ed esplicita: «Nessun interesse di categoria: portiamo all’attenzione di tutti la tutela dei diritti, rivendicando per i cittadini l’accesso alla giustizia e il diritto a che i processi si svolgano». Punto.

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