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Quando si passa il Rubicone il dado è tratto

Alea iacta est, il dado è tratto; giustamente diceva Cesare.

Aveva deciso di fare il passo, dunque doveva andare fino in fondo; vittoria o morte. Non esistevano altre alternative.

È chiaro che quindi adesso il discorso della legge elettorale ha senso inquadrarlo nell’ampio contesto dello scenario politico italiano, per capire le intenzioni. Dove si vuole andare.

Ossia potrebbe essere lo scenario ideale per creare, tramite una riforma proporzionale, il bisogno di una grande coalizione per riuscire a governare. Ma composta da chi? E chi è disposto a fare cosa?

Limitiamo lo sguardo al centro destra

Forza Italia potrebbe sostenere un governo con il PD? Magari una larga coalizione che sostenga Draghi. Ma andiamo oltre il guardiamo avanti. Una larga coalizione che possa essere l’impianto su cui governare l’Italia nel futuro. Forza Italia sicuramente potrebbe farlo, anche perché l’ha già fatto in passato.

Discorso diverso per la Lega. Soprattutto per Salvini che difficilmente potrebbe mantenere i consensi, ne sta già perdendo parecchi, continuando a tempo indeterminato a far parte di una coalizione che ai tempi d’oro avrebbe combattuto. C’è sicuramente una lega che guarda gli interessi del Nord ed alla quale non dispiace stare governo, per poter soddisfare le istanze territoriali.

Però anche ai tempi di Bossi la Lega non riuscì mai a far digerire al suo elettorato un governo con i partiti di palazzo. Almeno con quei partiti di palazzo più antitetici agli interessi del Nord. Tanto è vero che l’idea della Lega costola della sinistra abortì subito.

Un terzo polo nato morto

Gli italiani, non a torto, da quasi trent’anni sono abituati a ragionare con la divisione in due grossi blocchi, in parte sconvolta dall’arrivo del Movimento Cinque Stelle, che rafforzò il sentore di un terzo Polo che potesse affermarsi a discapito delle costruzioni tradizionali. Ma in realtà erano più sconvolti i politici che non gli italiani.

È avvenuta, con la riforma che consentiva l’elezione diretta del vertice degli enti decentrati, una frattura rispetto alla prima Repubblica negli enti locali, fin anche al livello regionale.

Questo non era avvenuto a livello nazionale, ma l’introduzione di una legge elettorale in gran parte maggioritaria aveva sostanzialmente permesso, se non di scegliere il premier, causa ribaltoni, almeno di determinare la coalizione che doveva governare. Salvo la brevissima parentesi del ’94, dove comunque il risultato fu lo scioglimento anticipato e la conseguente parola ridata gli elettori.

Ora dunque bisogna chiedersi se la partecipazione ad una larga coalizione non ridurrebbe la maggior parte di partiti del centrodestra al lumicino. Ossia se non comporterebbe che tutto l’elettorato tradizionale di centrodestra si sposti verso Fratelli d’Italia, poiché depositario del l’unica opposizione.

Ma ancora di più. Il problema si pone anche nel Movimento Cinquestelle Stelle, dove il successo storico della compagine creata da Beppe Grillo è stato l’essere alternativa i giochi di palazzo. Per un partito soprattutto poco ideologizzato come i grillini, la dispersione dei voti di quegli scontenti potrebbe avvenire molto più velocemente che in partiti strutturati.

Il partito dell’astensione

C’è poi un altro dettaglio da considerare. Il partito dell’astensione è il partito più forte in Italia. Lì si apre una prateria se l’opposizione resta in capo solo al partito della Meloni.

È vero che si potrebbe obiettare che, nel caso Fratelli d’Italia intercettasse larghissimo consenso, con il proporzionale sarebbe comunque comunque escluso da tutti i giochi.

Vero. Ma nel periodo della prima Repubblica tutti si rendevano conto che l’esclusione del Partito Comunista, che rappresentava un terzo degli elettori, era devastante per la tenuta del sistema ed insostenibile a lungo termine.

La storia potrebbe riproporsi per un paradosso dalla parte opposta dell’emiciclo.

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