La storia dice che le origini del palazzo risalgano alla metà del XVI secolo, verso la seconda metà del 1600 i Gradenigo, una delle più antiche e illustri famiglie del patriziato veneziano, decisero di raddoppiare la superficie dell’edificio affidando il progetto di ampliamento al più noto architetto dell’epoca: Baldassare Longhena, appunto. La dimora non era affatto da “Venezia segreta” al tempo, anzi, era famosa per le sue collezioni di dipinti, per la ricca biblioteca e soprattutto per il giardino, il quale fino al 1922 era addirittura il più vasto della città. Vi si organizzarono anche cacce ai tori durante il Carnevale del 1768 e alcune memorabili feste in onore di Eugenio de Beauharnais, allora Vice Re d’Italia. E alla fine dell’800 Gabriele d’Annunzio vi ambientò una parte del celebre e scandaloso romanzo Il Fuoco, tra gli arbusti del parco Gradenigo, mentre, quasi contemporaneamente, nel giardino adiacente, Henry James adattava il racconto Il Carteggio Aspern.
Pareti decorate con stucchi magnificamente eseguiti verso il 1720/30. All’interno del medaglione un affresco en grisailles opera dell’atelier di Giacomo Guarana.Foto Oskar Proctor
Sono gli anni Venti a decretare una cesura nella storia del palazzo, come racconta Bergamo Rossi: «In quel periodo al posto del giardino venne costruito un quartiere», dedicando così all’oblio quel gioiello bucolico nel cuore della città. Tra le due guerre mondiali, il palazzo fu in parte venduto e diviso in appartamenti, e il grande parco fu dimezzato e confiscato dal regime fascista per costruirvi il nuovo quartiere delle case dei ferrovieri. Quando Toto Bergamo Rossi acquista una parte del piano nobile, lui – un passato di imprenditore del restauro con una specializzazione nei materiali lapidei – ha il fiuto e le competenze per far tornare a splendere quella dimora. Anche quest’ala del palazzo è decorata con stucchi e affreschi di epoche diverse, che sono venuti fuori scrostando anni di vernici successive. Oggi, le pareti dell’ingresso sono un trionfo del virtuosismo dell’arte dello stucco veneziano del 1730 circa. «Si tratta di stucchi veneziani, quindi non a secco ma con la tecnica di impasto nella calce e per questo si sono conservati, i colori sono quelli originali. Ci ho lavorato e sotto ho trovato il 1720», continua Bergamo Rossi. Tra gli elementi in stucco gialli e verdi, si notano alcuni dettagli di decori floreali incisi che ricordano le celebri lavorazioni a rilievo dei cuoi di Cordova, i quali erano pregiatissimi e di gran moda a Venezia durante il XVII secolo. La sala Impero fu ridecorata in occasione della visita del Vice Re d’Italia Eugene de Beauharnais nel 1807, mentre nel salone giallo trionfa un bel soffitto affrescato da Guarana, allievo di Giambattista Tiepolo, e riscoperto durante i recenti restauri. Altri ambienti sono affrescati da Giovanni Carlo Bevilacqua e da David Rossi. «Avevo intuito», chiosa l’attuale proprietario.